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Il filotto del Campionissimo

"Omaggio ad un mito del biliardo: Marcello Lotti"
 

Se quello del biliardo è davvero un popolo, un immenso e del tutto straordinario popolo sommerso, in questa cronaca novembrina venata di malinconia si celebra la scomparsa del suo leggendario capo carismatico (un aggettivo che gli piaceva tanto, insieme alla battuta stemperante, un sottile esorcismo da piazzare al momento opportuno per tentare di cambiare l'inerzia d'una partita storta: "Ragazzi, qui va tutto a ritrecine, se i birilli 'un si decidono a cascare...!".

E allora sia: Marcello Lotti, lo Scuro di Peretola, nove scudetti nazionali e due Coppe Campioni (equivalenti abbondantemente ad altrettanti titoli mondiali), quello Scuro che con le sue prestazioni sportive e cinematografiche ha illuminato l'anonimato di un gioco raffinato e delizioso in origine troppo frettolosamente bollato dai benpensanti come una specie di "sputacchiera sociale", è morto.

Marcello Lotti

Morto? Dicono che è morto. Perche chi lo ha conosciuto bene lascia correre le facili chiacchiere, ma non ci crede. Un giorno questo giornale titolò: "La vita? E' un rettangolo verde". Il verde della speranza, anche per definizione intramontabile.

Stamattina, come sfondo al suo funerale, secondo copione, quale riproposta della sua figura carismatica, il tempo è imbronciato e nuvoloso. Ma questo non vuol dire che il sole non ci sia. Sarebbe una bestemmia guardare soltanto a questo fotogramma. Il lungometraggio è assai più esteso.

Ecco, dunque, in una sola parola, ehi era ed è lo Scuro: vita. In ogni sua steccata, la vita, l'espressione di un battito inestinguibile, il godimento di essere al mondo, il suo ringraziamento per essere stato convocato anche per la più misteriosa delle partite.

Per raccontarlo in maniera esauriente ci vorrebbe una piccola enciclopedia. Qui però dobbiamo accontentarci di qualche flash, il che non muta la sostanza del tributo.

Da Peretola al Sudamerica. Una trentina d'anni fa, palazzo dello sport di Necochea, Argentina, sesta temporada mundial di 5 Birilli. Giunto con una stecca in metallo di nuovo conio da lanciare sul mercato, rivelatasi inadatta per quei tavoli da gioco, Marcello perde le prime sette partile di fila: "Senor Loti, ocho tantos por pérdida!". Irriconoscibile e incredibile, ma indomabile, refrattario alla sconfitta. Quella stecca fu allora calibrata diversamente, alleggerendola. Ancora sette gli incontri da disputare davanti a migliaia di appassionali. Una sequela di confronti che si trasformò in una passerella trionfale capace di svelare anche nell'altra parte del mondo la sua bravura torrenziale. «Uragano Lotti», oscuro e terribile come un incubo. Le biglie ipnotizzate, le traiettorie finalmente addomesticate. Proprio come in un film. Nella circostanza, l'iride fu compromessa. Ma non il suo splendore di giocatore nato, rimasto intatto. Per le successive sette sedute la musica cambiò di botto, sottolineata da scrosci di applausi che coprivano la chiamata dei punti dell'arbitro: "Segnor Loti, ocho tantos por ganar!".

Fece parte dei magnifici cinque che, all'epoca - tra il Sessanta e il Settanta - riuscirono a incantare le platee d'ogni luogo sede delle loro esibizioni: Coppo di Casale Monferrato, Sessa di Milano, Mazzarella di Napoli, Biagini e Lotti di Firenze, Firenze capitale del biliardo (con l'aggiunta di Giovanni Cappelli). Chi ha visto all'opera quei moschettieri, non può meravigliarsi più di nulla intorno al rettangolo delle invenzioni.

Marcello Lotti

Quando, facendomi largo tra la folla silenziosa, per la prima volta lo vidi al "Gambrinus" (allora il tempio di quel gioco che sarebbe diventato sport), senza saperlo presentò anche a me il suo originale biglietto da visita. Scrutò la posizione delle biglie, creata ad arte dal suo avversario, e con un accenno di sorriso disse ad alta voce come parlasse a se stesso: "Ancora 'unn'e finita!". Un'occhiata d'esperienza. Poi l'esplosione di un colpo a prima vista incomprensibile. Sette rimbalzi fruscianti sulle mattonelle di caucciù e pelle d'asino ricoperte di panno, la palla avversaria presa di calcio sfiorando i ganascini della buca... "Quattro punti e partita!", annunciò il vecchio Culili, estemporaneo biscazziere addetto al segnapunti con i pippoli di legno colorato.

Dice Cappelli, uno che con lui ha incrociato la stecca per tutta la vita: "Allora i diamanti lungo le sponde non esistevano. Si andava a occhio. E nessuno come Marcello conosceva quelle geometrie invisibili. Si piazzava sul tiro e, anche da avversario, non potevi non ammirarne la naturalezza e la plasticità d'uno stile unico. Era proprio nato per il biliardo. Prima ancora che il tiro si materializzasse, intuivi che, senza alcuna fatica, come se da qualche parte fosse già scritto a caratteri da scatola, stava combinando qualcosa di decisivo che ti avrebbe troncato le gambe. Un Armstrong con la stecca al posto della tromba".

Un suo allievo, Mario Papini, noto campione di stecca: "Il biliardo era la sua culla, tanto che il condizionamento psicologico era inevitabile giocandogli contro. Snervante, addirittura pur se in vantaggio, sapevi di non avere mai vinto fino all'epilogo".

Un altro di quelli bravi, Daniele Fossi, figlio di un grande: "Mio padre Luigi - poi tricolore insieme a Marcello - a Peretola fece da primo maestro a quel moretto che già a dieci anni puntava su se stesso i soldi del gelato e del cinematografo che il babbo gli dava la domenica. Così nell'ambiente si sparse la voce che l'uno, il Fossi, fosse il Cimabue, e lo Scurino il Giotto".

La partita di biliardo, metafora della vita per questo campionissimo. La sua vera forza, quella di credere oltre le apparenze che spesso ingannano (e chi è ingannato mica se ne accorge), badando al sodo e raschiando fino in fondo il barile. E ora, se tutto questo è vero, in fondo al barile della vita c'è un messaggio per la sua Anna, per la sua famiglia amata e per tutta la gente del biliardo che dietro alla nuvolaglia sa che esiste il sole: "La morte non è l'oscurità che viene, ma la lampada che si spegne perché il giorno appare".

 

 


La mitica partita tra "Lo Scuro", Marcello Lotti, e "il Toscano", Francesco Nuti, nel film «Io, Chiara e lo Scuro»

 
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