Il colore dei soldi
Di Francesco Tomati, in Pool - Articoli - luglio 2006
Kevin Trudeau con Efren ReyesLe sale fumose, dove lo schiocco delle bilie e il rumore sordo delle imbucate si alternano al fruscio delle banconote verdi, sono sempre lì, e non si sono mai mosse.

I «road players», quelli che dormono in macchina in un tour senza fine alla ricerca del pane quotidiano, di qualche pollo da spennare oggi in California, domani nel Nevada e dopodomani chissà, nonostante tutto continuano ad esserci. Sono i nipoti di Willie Mosconi, i figli di Steve Mizerak.

Negli Stati Uniti di George Bush e Madonna, di Bill Gates e del rap, certe cose non cambiano mai.

Bianchi, neri, pellerossa o asiatici, eleganti o trasandati, quindicenni con l'i-pod o settantenni col sigaro, giovani atletici o camionisti sovrappeso.

E' il popolo con la stecca a tracolla, disseminato da New York a Los Angeles, e brulicante intorno ai tavoli verdi di grandi metropoli e luoghi dimenticati da Dio.

Dai tempi dello «Spaccone» il mondo si è evoluto, nelle sale trillano i cellulari, i giocatori hanno siti internet, ma gli occhi sono sempre gli stessi, la passione, la dipendenza dal gioco del biliardo, quella è dura a morire.

Ed è proprio la passione, condita da quel nonsocchè di clandestino, che ha tenuto vivo un gioco che sembrava destinato a sparire.

Infatti, che il mondo giri attorno ai soldi non è una scoperta, e si è fatto presto a relegare uno sport con milioni di praticanti ed un'aura di «mito» attorno a sé in un semi-anonimato mediatico. In Inghilterra i giocatori di snooker sono diventati veri e propri divi, soprattutto grazie al concorso di tre elementi fondamentali: un po' di sano tradizionalismo britannico, ma soprattutto l'interesse della BBC, la televisione nazionale che ogni appassionato di biliardo sognerebbe di avere, e l'importante ruolo degli sponsor, fino a qualche anno fa principalmente produttori di tabacco. Televisione e sponsor, strettamente connessi da un comune denominatore economico, hanno fatto del biliardo d'oltremanica un vero fenomeno di massa.

Negli Stati Uniti nell'ultima quindicina d'anni, cioè da quando l'ondata di entusiasmo per il pool portata dai film di Paul Newman iniziò ad affievolirsi, la mancanza di un apprezzabile giro di soldi ha inevitabilmente fatto sì che le enormi potenzialità di questo sport, contrariamente a quanto accaduto in Gran Bretagna, venissero soffocate e coltivate solamente da silenziosi (e frustrati) appassionati. Come prima conseguenza, in un Paese ove il professionismo regna sovrano in qualsiasi disciplina, la vita di chi fa del pool il proprio mestiere è diventata molto dura. Tornei molti, certo, ma raramente con montepremi apprezzabili, pochissimi sponsor e quasi tutti solo nel settore del biliardo, interesse televisivo ridotto al lumicino e quasi sempre rivolto verso il circuito femminile, grazie ad una migliore gestione manageriale del prodotto da parte della federazione del pool in gonnella.

In molti hanno comunque tenuto duro, in attesa di veder spuntare quell'elemento che avrebbe permesso al biliardo professionistico di riconquistare una dimensione più appropriata. Stavano aspettando, pazientemente, quello che oggi pare essere arrivato, e a vent'anni di distanza dall'uscita del film di Martin Scorsese, hanno ricominciato a distinguere «Il Colore dei Soldi».

La bella favola del biliardo americano, o quantomeno quello che tutti sperano esserne il lieto fine, inizia nei primi mesi del 2005. Con un comunicato che fa molto scalpore un gruppo che fa a capo al miliardario Kevin Trudeau (nella foto in alto, con Efren Reyes), indice per il 20 agosto a Las Vegas una sfida di pool, specialità «palla 8», tra due leggende del gioco a stelle e strisce, il «mitico» Mike Sigel e la campionessa degli anni ottanta Loree Jon Jones, entrambi appartenenti alla Hall of Fame del Billiard Congress of America. La partita, vinta con facilità da Sigel, amico personale di Trudeau, ha come premio in palio la bella somma di 150.000 dollari e come «consolazione» per la bella sconfitta la metà, e viene definita, con termine certamente improprio, «Campionato del Mondo di palla 8». Su questo primo evento viene allestito un show televisivo degno delle migliori produzioni, spettacolarizzando come solo gli americani sanno fare un match impari che tecnicamente ha ben poco da dire.

Ma basta (e avanza) questo per dare uno scossone non da poco a tutto l'ambiente, specialmente se si pensa che, più o meno nello stesso periodo, viene disputato l'autentico Mondiale di palla 8, vinto dal cinese-prodigio sedicenne Wu, dove tutti i migliori giocatori del Pianeta si danno battaglia per contendersi, oltre al titolo, soli 20.000 dollari.

All'annuncio da parte di Kevin Trudeau e Mike Sigel della nascita dell'International Pool Tour, il nuovo circuito professionistico, inizia un periodo di inevitabili polemiche. Innanzitutto i primi dubbi riguardano proprio la credibilità del magnate, che era balzato agli onori della cronaca qualche anno prima per il suo libro «Natural Cures», nel quale venivano esposti discussi metodi di medicina alternativa. Oltre a questo, una lettera da parte della World Pool Association, l'attuale federazione mondiale, che diffida i giocatori ad intraprendere attività non sanzionate dalla WPA stessa.

Las Vegas: arena di giocoTutto questo, come previsto, può ben poco rispetto al potere del dollaro, ed è così che nasce ufficialmente l'IPT. Migliaia di giocatori di tutto il Mondo inviano il modulo d'iscrizione al circuito, in vista della prima prova denominata «King of the Hill». Solo in 150 vengono accettati, e tra di loro tutti i migliori, dai filippini Efren Reyes, Francisco Bustamante e Marlon Manalo agli europei Souquet, Hohmann (tedeschi), Fejien, Lely (olandesi), Mika Immonen (finlandese), fino addirittura ai mostri dello snooker Ronnie O'Sullivan e Jimmy White. Ad attendere loro e molti altri, tra cui il nostro miglior giocatore ed unico Italiano ammesso, Fabio Petroni, i «mostri sacri» statunitensi, capitanati da Earl «the Pearl» Strickland, Johnny Archer e dal folto gruppo di «Hall of Famers», molti dei quali in nome del Dio Denaro hanno rispolverato le loro stecche in disuso da anni, come Buddy Hall, Jim Rempe, Nick Varner, e le fenomenali Allison Fisher e Karen Corr, uniche donne capaci di battere top players maschili.

Con la prima tappa del tour gli ultimi dubbi vengono fugati, il biliardo è tornato importante. E poco importa se la specialità è il palla 8, che ormai da anni era caduto in disuso a livello agonistico in favore del palla 9, se il panno è il lentissimo «Nap» che si usava una volta e le moderne stecche da salto, corte e con girello sintetico, sono bandite.

I «magnifici 150» si riuniscono in Florida, a Orlando, ma solo 43 possono prendere parte a quello che è già stato definito il maggiore evento biliardistico di tutti i tempi. La data del 30 novembre 2005 sancisce l'esordio dell'International Pool Tour, e un'organizzazione faraonica vede i fortunati partecipanti contendersi in una cornice dorata il montepremi di un milione di dollari, 200.000 dei quali finiranno nelle tasche del vincitore.

Per l'occasione, che diventa uno show sportivo-televisivo destinato a tutto il territorio, viene allestito uno scenario da mille e una notte, ogni partita è teleripresa ed un mega-schermo sopra ogni tavolo facilita la visione da parte del pubblico. I giocatori, che eleganti così non lo erano mai stati, vengono dotati di un microfono stile «reality show», ed una persona di loro fiducia li sostiene al proprio angolo. Simil-veline e letterine appaiono come per incanto a contorno della massima spettacolarizzazione mai esistita nel mondo del pool.

I giocatori vengono suddivisi in gironi eliminatori, gli Hall of Famers gareggiano a parte, per garantirne la presenza di alcuni nelle fasi finali, e la competizione, seppur combattuta, fa contenti un po' tutti, visto che anche chi non vince nemmeno un incontro torna a casa con 6200 dollari, somma equivalente, in tempi normali, alla vittoria di un torneo nemmeno troppo piccolo. Ad attendere il vincitore c'è Mike Sigel, automaticamente qualificato per la finale dopo aver vinto la sfida con la Jones a Las Vegas e quindi «King of the Hill» (il Re della collina).

Efren Reyes col primo premio Dopo giorni di aspri confronti ad uscire vincitore dalla selezione degli sfidanti, e c'era da aspettarselo, è il grande filippino Efren «The Magician» Reyes (nella foto, col ricchissimo premio vinto), da molti definito il più grande di tutti i tempi. Nello scontro tra ultracinquantenni per il «malloppone» di 200.000 dollari prevale con estrema facilità Reyes, con il punteggio di 8-0, 8-5, e sarà lui il «King of the Hill» della seconda prova. C'è da giurare che la prossima finale sarà ben più dura, ed il vincente delle selezioni avrà nel campione in carica lo scoglio maggiore da superare.

E' l'inizio di una nuova era, ci scommettono in molti, e per il 2006 sono già in calendario tornei entusiasmanti dal montepremi anche maggiore.

Così come vanno avanti, entro la fine di febbraio ce ne saranno quattro, i tornei di qualificazione per il Tour, che dalla nuova stagione allargherà il numero dei partecipanti. L'iscrizione è un po' «altina», 2000 dollari, ma si prospetta l'occasione della vita per chi entrerà, visto che per il 2007 ogni giocatore IPT avrà un guadagno minimo di 100.000 dollari. Tra le competizioni in programma quest'anno spiccano, ed il calendario non è ancora completato, due super-tornei a 200 giocatori (150 fissi, 50 qualificati) con montepremi rispettivamente di due e tre milioni di banconote verdi. E' previsto anche un allargamento del tour, in un prossimo futuro, all'Europa e all'Asia, e c'è da giurare che migliaia di giocatori stiano già «affilando i loro puntali» per provarci. Come dargli torto…

Ma per ora l'onda dell'entusiasmo, la fibrillazione vera, è in un «coast to coast» tutto americano, e quelli che venivano considerati fino all'anno scorso «Major tournaments», come il Mondiale o gli US Open, hanno di fronte un colosso, economico e mediatico, che li ridimensionerà parecchio.

Nel 1986 Martin Scorsese dipinse la storia di un attempato signore che per anni era rimasto nell'ombra, seduto ai bordi di un tavolo verde, nell'attesa di una scintilla che rinvigorisse un fuoco sacro mai del tutto spento. Il suo nome era Eddie Felson, detto «lo Svelto», e aveva gli occhi azzurri.

Come lui oggi, vent'anni dopo, un altro nobile forse un po' stanco ma mai decaduto, il Biliardo, è pronto ad abbandonare l'oscurità ed esclamare, con l'entusiasmo di un ragazzino: «Sono tornato!».




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