US Open 2007
Di Francesco Tomati, in Pool - Articoli - novembre 2007

Sembra ieri, in effetti, che il neonato Biliardoweb Magazine faceva il suo esordio in terra statunitense, per la 31ma edizione del «mitico» US Open di pool. In quell’occasione come non mai fu un piacere condividere con Voi, generosi lettori, l’entusiasmo di un bambino alle giostre, di un adolescente di fronte al suo sogno, di un uomo maturo che finalmente raggiunge i posti fantasticati per una vita.


Ralf Souquet, quarto posto
per lui all'Open statunitense

Fortunatamente non è obbligatorio che tutte le esperienze straordinarie si debbano vivere una volta e mai più, e anche quest’anno, dal 14 al 20 ottobre, abbiamo avuto il grande piacere di presentarci puntuali a Chesapeake, in Virginia, per l’edizione 2007 del Torneo più bello del Mondo.

Lo scenario, sebbene fosse pressappoco il medesimo dello scorso anno (il bello delle tradizioni), non ci ha risparmiato dal lasciarci a bocca aperta ancora una volta. Anzi, forse l’esserci già passati una volta non ha fatto altro che rendere l’attesa più spasmodica e le aspettative maggiori. E, che Ve lo dico a fare, ti aspetti il massimo e, per una volta, ricevi addirittura di più.

Ebbene si, perchè se la meravigliosa location del Chesapeake Conference Center, seppur con l’arena centrale ampliata rispetto all’anno passato, non costituiva più, per noi, un assoluto inedito, e se il profumo del Mito che solo al Q-Master, la sala biliardi per eccellenza, si può respirare, l’avevamo già assaporato dodici mesi fa, gli Dei del pool hanno fatto in modo che noi, viandanti transoceanici con la stecca a tracolla, venissimo premiati da nuove e gustose chicche da conservare per sempre, e, come nel caso del Vostro cronista, da raccontare con soddisfazione.

Come sempre, nelle esperienze straordinarie, il bello arriva quando meno te lo aspetti, e non sempre nel momento o nel luogo in cui lo avevi immaginato per tutto il tempo. Ti aspetti di dover attendere l’inizio del torneo per assistere alle mirabolanti imprese dei migliori del mondo, e magari dall’alto di una tribuna un poco defilata. E invece succede che il giorno prima della gara decidi di andare ad allenarti al Q-Master, e già tornare tra i 52 tavoli più famosi del pianeta costituisce una bella soddisfazione. Entri, e trovi in pieno svolgimento un torneo di One Pocket, con i fenomeni, per una volta in jeans e maglietta, che dipingono traiettorie di perfezione assoluta. Vedendo Efren Reyes, the Magician, esibirsi con leggerezza nel gioco in cui è imbattibile, capisci cosa vuol dire avere il pool nel dna. Già questo sarebbe sufficiente per una giornata da ricordare, ma il meglio deve ancora arrivare.


John Schmidt, campione uscente all'US Open

Dopo una giornata di allenamento «in famiglia», tra il sottoscritto e Giorgio Margola, ci capita di vedere, in lontananza, il Campione dell’anno scorso, John Schmidt, che sistema le bilie per un’apertura di pool continuo. Gli sguardi s’incrociano, e il campione statunitense, tanto dotato quanto umile e signorile, si sbraccia per salutare gli amici d’oltreoceano. Lo raggiungiamo al tavolo, e ci mostra la sua nuova stecca, un prototipo OB-1, che sta provando per la prima volta. Dopo aver finto di aver l’autorevolezza per esprimere un parere sul nuovo attrezzo, il sottoscritto si diverte a «stuzzicare» colui che, forse, è il più forte giocatore di pool continuo attuale. «La serie maggiore a cui io abbia assistito è di 263 palle, da parte dello svedese Storm (in realtà mi sbagliavo, erano una quarantina di meno, comunque fenomenale). Ti sfido a fare di meglio». Con un sorriso, e senza scomporsi più di tanto, Mr. Schmidt mi risponde: «Bella serie... Dammi tre tentativi». Già la risposta ci lascia allibiti, e chi si intende di pool sa quante siano 260 bilie consecutive. In breve, al primo tentativo John si ferma a 72, vittima di uno sfortunato rimpallo. Seconda serie, 43 e nessun tiro dopo il break. Alla terza, ecco il momento che chi scrive ricorderà per molto tempo. Veloce e deciso, preciso al limite del robotico, Mr. 400 fa fede al suo soprannome, piazza un 403 tra gli applausi della sala intera e mi allunga la mano per farsi dare un più che meritato «cinque». Commossi e stupefatti, Giorgio ed io ci rendiamo conto di essere gli unici italiani di sempre ad aver assistito ad una serie così lunga. Ringraziamo il trentaquattrenne originario della Florida, che tra l’altro ci confida di avere insospettate discendenze italiane, e torniamo in albergo, domandandoci, se questo era l’aperitivo, che cosa ci avrebbe riservato il resto della settimana.


Ronnie Alcano, Campione del Mondo 2006 di palla 9

Eccoci così alla competizione vera e propria, che vede ai nastri di partenza, dopo che lo scorso anno c’erano state alcune defezioni importanti, tutti, ma proprio tutti, i «grandi nomi». Anche la pattuglia azzurra, «the Italian Contingent», come ci definisce il mitico annunciatore Scott «the Shot», è pronta alla battaglia con Fabio Petroni, Alessandro Torrenti, Giorgio Margola e il Vostro cronista, Francesco Tomati.

Notiamo subito, in forma strepitosa, il campione del mondo Ronnie Alcano, che mostra un talento e una scioltezza disarmanti, in grado di distruggere qualsiasi avversario gli capiti di fronte. Alcuni degli antagonisti per eccellenza, come Earl Strickland, Alex Pagulayan e lo stesso Schmidt incappano in premature uscite dal torneo, mentre i mostri filippini marciano sicuri verso le fasi finali. Con loro, l’immarcescibile Ralf Souquet, che macina gioco con la consueta costanza. Tra gli americani, i favoriti sono i soliti: Rodney Morris, Corey Deuel, Jeremy Jones, Gabe Owen e così via. Escono tutti prima del previsto, lasciando a difendere le sorti a stelle e strisce al fenomenale talento del ventitreenne Shane Van Boening, che imbuca con una percentuale strabiliante e surclassa un avversario via l’altro. Le tribune, gremite come non mai, esplodono in boati di fronte alle prodezze esibite dai talentuosi Bustamante, Parica, Reyes, Alcano, Kiamko e Gallego, filippini purosangue decimati dagli scontri fratricidi.


Ottima prestazione del giapponese Tomoki Mekari

Il cammino degli atleti di casa nostra non è privo di ostacoli, che purtroppo non ci permettono di arrivare alle fasi finali del torneo. Due vittorie ed altrettante sconfitte è il bilancio di Petroni, del sottoscritto e di Sandro Torrenti, che ha però l’onore, per la prima volta in carriera, di capitolare di fronte al più forte di sempre, Efren Reyes. La prossima volta lo batterà. Una vittoria in meno per Giorgio Margola, che paradossalmente è forse l’italiano che ha mostrato il gioco migliore, cadendo due volte per 11-10, la prima di fronte al grande filippino Warren Kiamko e poi giocando, contro un professionista americano di vecchia data, forse la partita più divertente del torneo. Sotto per 10 a 2, il trentino non si perde d’animo e sfodera il suo miglior biliardo, rimontando fino a 10 pari per poi venire sconfitto alla «bellissima» non senza sfortuna e non senza l’ovazione del competente pubblico di Chesapeake.

In un susseguirsi di incontri entusiasmanti cadono teste eccellenti, fino ad arrivare alla «final four», composta dall’imbattuto Van Boening, nessuna incertezza in tutto il torneo, dal concreto Ralf Souquet che, in compagnia di Alcano e del precisissimo giapponese Tomoki Mekari, combatte per un posto in finale. Alla fine, senza nulla togliere al nipponico e al sempre forte tedesco, la partita per il titolo è quella che rende maggiore giustizia alla gara, con Ronnie Alcano e Shane Van Boening, i più meritevoli, a contendersi la corona.


Shane Van Boening, a soli 23 anni alza
al cielo il trofeo del suo primo US Open

Nonostante la giovane età e l’importanza della posta in palio, Van Boening dimostra di non essere per nulla intimidito e conserva l’altissimo livello messo in mostra fin dal primo turno. Approfittando di qualche spaccata sfortunata del talento asiatico, riesce a prevalere per 13-9 in quella che sarà senz’altro la prima (anzi la seconda, dopo il mondiale «minore» di palla 10) di una lunga serie di importanti vittorie.

Sembra che questi americani lo facciano apposta a regalarci storie da raccontare. Shane, ragazzo sveglio e dai nervi d’acciaio, riesce a sentire solo grazie ad un apparecchio acustico, e per lui l’applauso della folla è stato, comprensibilmente, più caloroso del solito.

Mille altri aneddoti ci sarebbero da raccontare, personaggi incredibili e colpi che da soli valgono un articolo, o forse un libro. Da Barry Behrman, l’organizzatore, a Dave Bollman, un omone di due metri che lavora le stecche con le mani di piuma, al campione texano CJ Wiley e i suoi stivali di pitone, passando per gli scommettitori che ogni anno affollano l’Open per sfamare le proprie famiglie, dall’alto della loro competenza per... l’azzardo.

Una menzione particolare, che per mere ragioni di spazio rinviamo nei particolari ai prossimi numeri, per Anthony Schianella, il famoso costruttore delle stecche migliori al mondo, le Black Boar. Le sue origini italiane lo rendono ancora più simpatico, e senza dubbio, in una modesta carriera ormai più che decennale, non ci era mai capitato d’incontrare una persona che sapesse così tanto del biliardo, della sua fisica e delle sue attrezzature. Un omino piccolo, due baffoni enormi e gli occhi sorridenti che trasmettono una vita dedicata al pool nelle sue minime sfaccettature.

Questa volta eviteremo di dilungarci troppo in lodi poetiche e sperticate nei confronti del «Torneo» per eccellenza, ma come sempre, senza preoccuparci di cadere in banalità, non possiamo fare a meno di consigliare caldamente a chi ama il biliardo di conservare almeno il sogno di capitare, una volta (o più) nella vita, in Virginia, il Paradiso del pool, durante l’autunno.




 Home page | Mappa del sito | Cookie Policy - Estesa © Copyright 2003 - 2024 Tutti i diritti riservati.
powered by dBlog CMS ® Open Source